Recensione: David Colon, La Guerra dell’Informazione. Gli Stati alla conquista delle nostre menti

In un mondo che vede uno scontro di egemonie tecnologiche, dove i cosiddetti GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) o i BATHX cinesi

(Baidu, Alibaba, Tencent, Huawei e Xiaomi) si scontrano su fronti finanziari, politici e sociali a livello globale, a colpi di informazioni e analisi dei dati (i nostri), sembra impossibile dare una qualche importanza al potenziale contrattacco di un singolo individuo nella guerra dell’informazione. Eppure proprio da qui si dovrebbe partire per mirare, non a una sconfitta delle nuove tecnocrazie imperanti, ma all’avvio di una rivoluzione delle coscienze che possa contrastare l’attuale urgenza, da più parti, di annichilire il pensiero individuale in favore di narrative artificiali finalizzate a controllare le masse attraverso le opinioni e le percezioni.

Nel notevole saggio La Guerra dell’Informazione, Gli Stati alla conquista delle nostre menti (traduzione di Chiara Stangalino), Einaudi, pp. 378, David Colon, docente di Storia della comunicazione, media e propaganda presso Sciences Po Centre d’Histoire di Parigi, identifica le strategie della disinformazione e manipolazione dell’informazione al servizio del potere, analizzando quanto fatto dalle grandi potenze mondiali. Si parte da assunti ormai consolidati: la psicologia sociale chiarisce da molto tempo che l’uomo predilige ascoltare le conferme alle proprie idee preconcette piuttosto che affrontare una informazione complessa, il bias di conferma che subentra nel limitare la capacità di analisi critica di fatti e nozioni.

Ai giorni nostri, nei tempi delle fabbriche di opinione, degli algoritmi, delle bolle informative, del Grande Fratello, della tecnocrazia dei nuovi oligarchi alla cui corte si muovono gli Stati e non solo, la banalità di questi concetti universalmente riconosciuti non ne sminuisce, quando messi in atto, gli effetti devastanti. E per quanto sia evidente che nella nostra società la propaganda è uno strumento di assoluto potere, il singolo individuo quale membro della collettività, emerge completamente inerme e indifeso davanti agli usi maligni dell’informazione.

Questo saggio, estremamente documentato e approfondito, validissimo come lettura e come fonte di consultazione, con la sua miniera di casi, cronache, dati da elaborare sulla guerra dell’informazione, diventa utile strumento educativo nel gettare fondamenta di quella difesa primaria ed essenziale che Colon e altri prima di lui auspicano si possa (ri)costruire: l’analisi critica, con il suo corredo di verifica delle fonti, contestualizzazione, ricerca.

Tra le altre cose, nelle pagine del saggio che si concentra sui nuovi scenari digitali, troviamo i retroscena che hanno portato al fenomeno del targeting psicologico online, emerso nel 2014 come una inedita tecnica rivoluzionaria in grado di configurare la personalità di un individuo attraverso pochissimi e mirati dati pubblici, innovazione che la Russia applica ed implementa immediatamente in ambito militare (Cambridge Analytica), seguita dal governo di Trinidad e Tobago che invece cerca profili utili al controllo e manipolazione delle elezioni.

Si va a fondo delle tecniche e dinamiche utilizzate a livello internazionale della propaganda e della manipolazione dell’informazione e dei flussi di dati, con esempi che vanno dalla Russia, che ha applicato alla sua diplomazia pubblica i principi militari ispirati alla teoria del controllo, passando per gli Stati Uniti che sperimentano strategie di gestione dell’opinione pubblica e risposta alle crisi come l’istituzione della war room nel 2010 (CSCC). Mentre i tecno-oligarchi restano pionieri nell’ottimizzazione proficua di un universo digitale ormai penetrato in maniera profondissima nei meccanismi della civiltà.

Vi si analizza la guerra informativa tra Israele e i suoi nemici, un campo di battaglia che ha visto primeggiare entità non statali come Hamas, in grado di muovere in suo favore con tecniche informative complesse e raffinate l’intera opinione pubblica mondiale, così come fatto da altri attori regionali diventati influencer globali del terrore (lo Stato Islamico prima, il nuovo Tahrir al-Sham di questi giorni, i talebani in Afghanistan …)

Nella guerra dell’informazione la percezione vince sempre sulla realtà, i social media sono un teatro di battaglia a se stante, mentre le agenzie di pubbliche relazioni sono un temuto mercenario. I giornalisti sono vittime e carnefici, pedine dei propagandisti che ne muovono le mosse grazie alla costante pressione esercitata attraverso l’obbligo di uno standard di pubblicazione uniformato, rapidissimo, sempre più affamato di sensazionalismo che si converte in moneta. A discapito di fonti e verifiche, del contraddittorio, in favore della realtà che in quel momento è favorevole costruire. Con la silenziosa celebrazione, come segnala Colon, di un grave lutto, la morte del giornalismo investigativo, arma affilata e alleata della conoscenza, ormai per l’autore quasi sparita.

La guerra dell’informazione è uno scenario complesso da monitorare e decifrare, perché coinvolge il cittadino e la collettività in una scala assoluta di partecipazione e azione, attiva e passiva. Il saggio ci accompagna in una lucida traduzione dei percorsi e utilizzi dell’informazione, permettendoci di capire come, nella nostra epoca, il Tweet di una bambina possa diventare un parametro di influenza nelle decisioni geopolitiche internazionali, rivelando l’architettura nascosta costruita di strumenti invisibili al servizio della post-verità e di chi la domina.

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