di Emanuela Corda – Il 20 marzo 2024, nell’ambito di una vasta operazione di investigazione europea mirata a debellare il network suprematista e neonazista “Sturmjager Division” , la DIGOS e la Polizia Postale hanno identificato due minorenni italiani transitati digitalmente nei canali del network, diffuso anche in Belgio, Lituania, Croazia, Romania e Germania e poi fuoriusciti per aderire, tramite un gruppo Telegram, a una realtà altrettanto radicalizzata dalla forte impronta attiva antisemita, manifestamente simpatizzante di attentati di matrice suprematista della storia recente. Entrambi i network frequentati dai due minorenni, condotti alla misura cautelare per decreto dei Tribunali per i Minori di Torino e Salerno, rappresentavano una concreta minaccia alla sicurezza in quanto luoghi di radicalizzazione online sia in termini ideologici che pratici, attraverso la condivisione di manuali per la fabbricazione di ordigni, bombe molotov, istruzioni per il maneggio di sostanze chimiche, manuali per l’attacco e il sabotaggio di infrastrutture critiche. Nelle chat, veniva condiviso ed esacerbato l’odio razziale antisemita e xenofobo, l’apologia per il nazismo, lo studio di attentati quali Utoya e Christchurch, il cui killer citò nel suo manifesto l’italiano Luca Traini, che nel 2018 a Macerata compì un attentato xenofobo ai danni di immigrati africani e contro una sede del Partito Democratico.
Pochi mesi dopo, nell’ottobre 2024, la DIGOS di Potenza arresta in flagranza di reato un quattordicenne con l’accusa di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione. Stavolta l’operazione investigativa si concentrava sul monitoraggio della comunità digitale jihadista in cui il minore era fortemente coinvolto sia su Instagram che su Telegram, dove risultava fondatore di due gruppi dedicati al proselitismo, al reclutamento e alla promozione della presenza dello Stato Islamico in Italia. Anche in questo caso, nonostante si tratti di un giovanissimo, l’indagine ha evidenziato una minaccia concreta di terrorismo: oltre alla creazione e condivisione di contenuti di propaganda jihadista e di video espliciti su attentati suicidi ad opera di minorenni, il ragazzo progettava imminenti azioni terroristiche ed era in possesso di munizioni e oggetti atti a offendere. Il Tribunale dei Minori di Potenza ha disposto come misura cautelare la sistemazione del ragazzo in una comunità dove sarà tentato un intervento di de-radicalizzazione e recupero.
Ancora, sempre nell’ottobre 2024, da Roma a Torino, da Biella a Novara a Firenze, sono dieci i giovanissimi indagati e perquisiti nell’ambito di una indagine partita dalle aggressioni reiterate contro stranieri per mano di un minorenne neonazista sulla linea verde della metro di Milano. L’indagine sulle aggressioni xenofobe ha portato a una rete online che su WhatsApp coinvolgeva altri minorenni da varie regioni d’Italia, tutti partecipi a dinamiche di incitamento all’odio razziale, etnico, religioso, attivi nella condivisione di immagini e video di natura nazista e fascista, di contenuti e slogan inneggianti alla discriminazione e alla violenza, ma che, al di fuori del contesto digitale, nel corso delle perquisizioni per indagini sul reato 640 bis, sono stati trovati anche in possesso di repliche di armi, tirapugni, machete e mazze, manganelli, coltelli e materiali legati al suprematismo e al nazifascismo.
La radicalizzazione giovanile precoce è oggi a tutti gli effetti una nuova frontiera dell’estremismo, sia esso politico o religioso, che adegua ed evolve le strategie di reclutamento online: sfrutta l’impatto di nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale o la realtà virtuale, dei mezzi digitali e vi unisce tecniche di manipolazione psicologica per fortificare un percorso di impegno e adesione alla matrice e alla violenza. Si focalizza su utenti sempre più giovani, giovanissimi, anche di undici, dodici anni, completamente inermi e inconsapevoli della minaccia. Lo stesso fenomeno, quello del reclutamento online di giovanissimi, si ritrova anche negli ambiti della criminalità organizzata, con esempi di rilievo come il Messico, dove le associazioni per la protezione dell’infanzia si stanno battendo nel tentativo di far riconoscere quale crimine penale il reclutamento di minori, con la necessità di adeguare una risposta non solo ai cartelli e ai loro reclutatori, ma anche alle famiglie dei giovani e alla società, che non possono per mancanza di strumenti legislativi adeguati, tutelare i ragazzi per i delitti commessi.
L’ESPOSIZIONE DEI GIOVANI E GIOVANISSIMI ALLA MINACCIA DIGITALE
Se fino a pochi decenni fa il reclutamento a scopo di radicalizzazione politica o religiosa avveniva soprattutto attraverso canali reali, ora non vi è più l’esclusività della rete fisica, faccia a faccia, ma vengono prediletti gli spazi digitali perché connotati dall’accelerazione del processo grazie alla fruizione in tempo reale dello scambio: non si è più spettatori ma si diventa in modo quasi naturale, fruitori attivi nei forum online, nelle app di messaggistica, all’interno dei videogame stessi.
Dentro i social media, la manipolazione del giovane è facilitata dal sistema: da TikTok a Instagram l’indottrinamento mirato inizia già con l’effetto rabbit hole, ovvero l’esplorazione di temi che gli algoritmi tendono a proporre in modo quasi esclusivo sulla base del comportamento di ricerca dell’utente. Un percorso tematico che può essere additivo, un bombardamento a catena che espone l’utente ad aspetti sempre più coinvolgenti sul tema esplorato, ma spesso anche penetranti e oscuri nel caso di tematiche quali xenofobia, antisemitismo, jihadismo. Entrare in un rabbit hole significa per un adolescente o un giovanissimo, addentrarsi in un terreno dove la natura stessa dell’esperienza costruita dall’algoritmo, è pensata per convincere. Il giovane smette di compiere una azione attiva (ricerca di un contenuto) e passa al subire passivamente le proposte dell’algoritmo, che andranno ad essere sempre più personalizzate, particolari, mirate, finendo molto spesso per esporre contenuti discutibili o pericolosi di realtà marginali o non immediatamente visibili, un campo minato che si perde nella zona grigia dei contenuti sensibili che l’algoritmo stesso dovrebbe invece neutralizzare. L’esposizione quindi a contenuti inappropriati, alla disinformazione, alla propaganda, non solo è impossibile da arginare, ma diventa sempre più raffinata man mano che l’utente si lascia condurre nelle profondità della tana del coniglio.
L’impatto negativo dell’effetto rabbit hole sui giovani fruitori dei social media è stato discusso già nello scorso anno dalla Commissione Europea, nel tentativo di imporre alle piattaforme social la creazione di un argine protettivo per il benessere psicofisico degli utenti, soprattutto i più giovani, esposti alle conseguenze già note degli effetti degli algoritmi (abbassamento del senso di soddisfazione personale, aumento dell’ansia,, della depressione, aumento del senso di inadeguatezza, abbassamento della qualità del sonno). Ma la trasparenza sui contenuti e sul funzionamento degli algoritmi alla base dell’effetto rabbit hole, da sola non basta per proteggere i giovani dalla minaccia del reclutamento digitale.
Il percorso iniziato con l’effetto tana del coniglio, si consolida nelle eco chambers, luoghi dove le visioni radicali a cui si è stati esposti nella fase di ricerca precedente e di cui ci si è nutriti fino a quel momento, comprendenti anche un primo approccio a una community virtuale che ha compiuto lo stesso percorso online, vengono normalizzate e supportate da altri utenti, arricchendosi di inviti all’azione.
I gruppi estremisti e i loro reclutatori, sfruttano gli ambienti digitali creando dei luoghi di aggregazione che mirano a far sentire sicuri, accettati e coinvolti i giovani affascinati dalle dinamiche del gruppo, dove lo status sociale è determinato inizialmente da fattori semplici, quali l’assiduità di frequentazione, la reiterazione di slogan o la capacità di coinvolgere amici o conoscenti all’interno di questi luoghi virtuali.
A differenza di decenni fa, quando le ideologie estremiste vivevano di un reclutamento più lento e focalizzato, la natura stessa di queste è oggi più ibrida e frammentata: nel mondo virtuale si creano scissioni o combinazioni di idee estremiste, radicali, religiose, politiche e teorie del complotto che facilitano l’avvicinamento dei giovani attirati anche da un singolo aspetto gettato nella mischia dei contenuti, venendo però introdotti così a visioni più ampie e sempre più radicali. Si tratta di una strategia illuminata e in grado di colpire quelli che non sono attratti in prima battuta dalle narrative più violente o eccessive, ma finiscono con il subirne la risonanza sempre più forte proprio grazie al coinvolgimento via via più stretto con tematiche marginali. Un esempio ormai noto e diffuso di questo tipo di contenuto digitale, è quello della cultura #tradwife, che fa riferimento in termini generali alla “cultura tradizionale” intesa come modello di visione del mondo e della società da parte di chi la approccia. Negli anni, e in una determinata area digitale, #trad e #wife si sono evoluti in un concetto estremista, che parla di ripristino dell’ordine sociale attraverso il riconoscimento di quei ruoli corretti che sarebbero in grado di determinare in maniera positiva l’ordine delle cose: la donna come moglie e madre, la famiglia uomo-donna come unico modello sociale funzionale, la religione di stato, l’esclusività della cittadinanza ecc… Ecco quindi come un giovane incuriosito o attratto dall’idea della tradizione, può finire in un rabbit hole in grado di condurlo a gruppi estremisti pronti ad accoglierlo e istruirlo.
Dal sentimento religioso mischiato al nazionalismo, dall’antiglobalismo alle cospirazioni apocalittiche, dal suprematismo alla misoginia, diventa facile trovare il modo di veicolare distorsioni e fare presa su una mente pronta ad accettare stimoli convincenti e accattivanti.
E che i contenuti estremisti siano in effetti sempre più accattivanti e raffinati lo si è visto con l’evoluzione delle campagne di propaganda mediatica dello Stato Islamico negli anni soprattutto fra il 2015 e il 2017. Lo Stato Islamico ha intuito il potenziale di un linguaggio internazionale ai fini del reclutamento, ha penetrato l’immaginario occidentale con quella divenuta nota come la pornografia della violenza e i suoi video dal concetto di intrattenimento visivo, ha creato i primi influencer della morte e ha strutturato la sua comunicazione non solo sull’estetica contemporanea ma anche sui modelli di marketing più diffusi, sfruttando gli algoritmi dei social media e ogni strumento digitale a sua disposizione, compresi i videogame. Oggi, gli estremisti dispongono di strumenti ancora più potenti, si pensi alla realtà virtuale e all’intelligenza artificiale, con cui si può generare di tutto, dai video deepfake ai chatbot che fungono da assistenti virtuali per la radicalizzazione su larga scala, passando per i contenuti immediati destinati a specifici target demografici, alle stanze di reclutamento e addestramento nel metaverso, alle simulazioni immersive in scenari da brivido: come costruire una bomba, come combattere dentro un edificio, come approcciare per il reclutamento. Tutte strategie e strumenti che sono sempre più diffusi anche nel mondo della criminalità: tra i reclutatori più assidui nelle piattaforme di giochi online, vi sono ad esempio i cartelli messicani della droga, che usano soprattutto i più diffusi come Fortnite, Free Fire, Call of Duty. In Europa e negli Stati Uniti si sono riscontrati invece casi di utilizzo mirato di Minecraft e Roblox per radicalizzazione e reclutamento ad opera di gruppi di estrema destra, mentre Arma 3 e War Thunder sono stati usati più volte non solo come ambiente di gioco immersivo per i combattimenti e le strategie di gruppo, ma anche per fornire contenuto propagandistico.
Già nel 2003 troviamo il primo esempio di videogioco come strumento di radicalizzazione, emerso in uno scenario post-guerra che ha entusiasmato almeno una generazione: quell’anno infatti il gruppo libanese Ḥizbu’llāh immetteva sul mercato il gioco sparatutto in prima persona (ma a giocatore singolo) Special Force, in cui si ricreava lo scenario della Guerra del Libano meridionale appena conclusa, in cui il giocatore opera sulla mappa dal punto di vista delle forze libanesi. Rilasciato solo in alcuni paesi arabi, il gioco per la piattaforma Microsoft veniva utilizzato anche da videogiocatori giovanissimi che si dichiaravano felici di poter uccidere almeno in gioco gli israeliani.
Anche le piattaforme legate ai videogame puri, come Twitch, Discord o Steam, che permettono la creazione di community tematiche piccole o grandi, fungono da terreno di caccia e sostentamento economico per i gruppi.
L’aspetto rilevante del videogioco nel processo di reclutamento, è ovviamente legato al fattore del divertimento: i giovani arrivano online con una predisposizione mentale già positiva, con l’intento di intrattenersi e comunicare con altri giocatori condividendo a fondo la parte ludica. L’uso dei contenuti e degli spazi di gioco da parte degli estremisti, si rivela estremamente funzionale: agganciare un giovane all’interno di un videogame è semplice, intrattenerlo all’interno della piattaforma è altrettanto facile, proporgli alternative ragionate come modifiche tematiche (una mod con armi, divise, mappe naziste, ad esempio) aiuta a creare la sensazione di uno scherzo/gioco condiviso fra pochi in una grande community. Sono le referenze culturali portate all’interno del gioco però che, funzionando come propaganda, attivano i processi di reclutamento: la gamification diventa veicolo di radicalizzazione, giocare a un first person shooter in cui vanno uccisi gli ebrei (Fursan al-Aqsa: The Knights of the Al-Aqsa Mosque non più disponibile su Steam), o giocare una mappa in cui si deve replicare l’attentato di Christchurch (Roblox), non è più una esperienza di gioco, è una manipolazione psicologica in cui il giovane dona virtualmente se stesso alla causa, sviluppa inconsciamente l’idea di morire, per questa causa, coltiva i suoi comportamenti aggressivi senza necessità di limitarli, manipola autonomamente in modo sia conscio che inconscio, la propria rete di valori e la propria morale per adeguarsi agli obiettivi di gioco.
Si eleva il rischio di una privazione dell’empatia che porta a una modifica del carattere: sessismo, machismo, violenza, narcisismo, possono emergere senza essere lucidamente riconosciuti come tali dal giovane.
Altro fattore fondamentale che favorisce il reclutamento nelle piattaforme di gioco, è la difficoltà di controllo nelle comunicazioni: le chat 1:1 o le community di gioco sono impossibili o complesse da supervisionare e moderare e si rivelano sicure per i gruppi soprattutto nell’ambito della comunicazione e del finanziamento economico, che può avvenire alla luce del sole attraverso le subscriptions o le donazioni.
LE STRATEGIE DELLA MANIPOLAZIONE PSICOLOGICA SUI GIOVANI
I nuovi strumenti di reclutamento, per quanto fondamentali, sono solo una parte del processo di radicalizzazione, che si completa attraverso la manipolazione psicologica dei giovani. Un processo complesso che vede all’opera reclutatori dalle grandi capacità di osservazione, in grado di individuare anche online le vulnerabilità che rendono un giovane utente un possibile radicalizzato (l’isolamento sociale, la quantità di tempo passata online, l’apertura a determinati tipi di contenuti ecc …). La manipolazione psicologica non si compie rapidamente, ma è un procedimento impercettibile e graduale strutturato su precise tecniche di controllo.
Quello cognitivo, ad esempio, che si serve di strategie ben definite.
Il controllo dell’attenzione è un esempio diffuso di strategia di controllo cognitivo, ovvero la programmazione di attività all’interno del gruppo per tenerne occupati i membri, limitando le loro possibilità di scelta ma generando l’impressione di una adesione spontanea. Consumare massivamente la propaganda, come film, video, giochi online, magazine, libri indicati dai reclutatori, è ad esempio un modo per controllare l’attenzione ma anche generare l’identificazione del gruppo. Un gruppo coeso nelle sue fonti che struttura una identità in grado di soddisfare il senso di appartenenza, appianando il conflitto di identità interiore del giovane, che si ritrova a passare sempre più tempo con un gruppo che diventa “famiglia”, condividendone molti aspetti. Nella vita reale si tratterebbe ad esempio, in un caso di radicalismo islamico, di preghiere in moschea, o di sessioni organizzate a porte chiuse nel caso di estremismo politico; online si tratta di comunicare per ore all’interno del gruppo, creare insieme contenuti di propaganda, scambiare materiale, dialogare in privato con più individui, vedere e commentare gli stessi film, libri, avvenimenti. Diviene via via più marcata la fusione con il gruppo, cedendo all’obiettivo dei leader del gruppo: perdere il senso individuale in favore di una identità collettiva.
Commenti e dialoghi che subiscono comunque una censura invisibile, un’altra manifestazione di controllo cognitivo: la denigrazione del pensiero critico, che diventa agli occhi dei giovani membri, una accettazione senza dibattito poiché diviene implicito che le regole e i ragionamenti dei leader sono a prova di fallacia. Non è possibile mettere in discussione ciò che viene detto nel gruppo, perché il gruppo ha guadagnato la fiducia incondizionata del giovane, e in misura ancora maggiore l’ha fatto la gerarchia al comando. Vi ha poi pensato l’esposizione continua, massiccia e prolungata alla propaganda della eco chamber, che ha nel tempo quasi annullato la capacità di razionalizzazione del pensiero individuale del giovane, i cui processi mentali sono stati modificati con inganni e menzogne che non trovano smentite, spesso anche per un altro fattore di controllo cognitivo: l’alterazione del linguaggio.
La modifica del vocabolario con la creazione e l’uso di neologismi ed espressioni profondamente identificativi del gruppo e dell’ambito in cui si muove, tipica anche del mondo dei videogiochi, non è solo un trucco per evadere i controlli delle piattaforme online, ma funge da barriera fra il giovane e il mondo esterno, barriera di cui spesso egli stesso non è inizialmente consapevole, ma che è di fatto un identificativo del mondo e del gruppo in cui si muove e appartiene. Spiegare all’esterno quale significato nasconde e implica una determinata frase o un riferimento culturale, diventa un problema che, agli occhi del giovane, conferma e amplifica la distanza fra le persone esterne che lo circondano e il suo gruppo. Il senso di appartenenza e il sentimento elitario generato dalla conoscenza di codici e linguaggi segreti, ha una forte presa sul giovane, in grado di farsi riconoscere o riconoscersi attraverso un linguaggio incomprensibile agli esterni: l’uso del 14, del 18, del 33 e dell’88 (suprematismo), il 2221 (teoria del complotto), leggere un nome scritto fra parentesi in un commento fra centinaia in un codice che solo lui e altri “iniziati” individuano immediatamente (antisemitismo), decrittare una combinazione specifica di emoji (razzismo), tutto ciò rientra in quadro di attivazione psicologica altamente funzionale alla manipolazione.
Così quindi la realtà del giovane in via di radicalizzazione si divide inesorabilmente in “noi” e “loro”: ogni problema, sofferenza, affronto che il gruppo si trova a vivere, è colpa della società esterna, delle istituzioni, della scuola, delle famiglie, incapaci di comprendere, che perdono costantemente di autorità. L’unica autorità accettabile, inattaccabile e riconosciuta è quella del leader: un’alterazione tipica all’interno dei culti settari che però, nelle dinamiche dei gruppi estremisti, può anche non concretizzarsi. Nel caso dei lupi solitari ad esempio, fenomeno dall’influenza più spiccatamente politica che religiosa, la vulnerabilità più importante nel triggerare la radicalizzazione è il rancore personale, non la solitudine, il desiderio di appartenenza, la ricerca di una identità; il percorso di avvicinamento all’ambito estremista sfrutta i network e le comunità di simpatizzanti, ma il rifiuto della leadership è spesso una caratteristica individuale degli attori solitari che li rende insofferenti a qualsiasi tipo di autorità e controllo.
Alle strategie di controllo cognitivo nella radicalizzazione non virtuale vengono applicate le strategie di controllo ambientale, mirate a gestire il mondo del giovane in via di radicalizzazione. Tradizionalmente si può trattare di incontri di preghiera, riunioni politiche, viaggi, impieghi lavorativi, volontariato, incontri mirati all’informazione e rieducazione. Virtualmente, il controllo dell’informazione avviene attraverso la selezione da parte del leader del gruppo delle fonti da leggere e condividere, mentre l’isolamento ambientale viene messo in atto con il controllo della routine: sessioni di gioco online, incontri virtuali su app di messaggistica, appuntamenti quotidiani e settimanali per attività del gruppo. Lo scopo del controllo ambientale è principalmente quello di estraniare dalla realtà e dalla famiglia il giovane reclutato, attraverso il controllo dell’informazione e del tempo. Di fatto, si tratta di una perdita di autonomia che nel lungo termine crea una dipendenza relazionale che allo stesso tempo genera sentimenti positivi (riempire vuoti emotivi) ma anche sensazioni di panico (l’idea della perdita).
Si arriva quindi alla manipolazione attraverso le strategie di controllo emotivo, che coinvolgono fortemente il leader del gruppo, impegnato a stabilire obiettivi, regole, dinamiche relazionali sia fra i membri del gruppo che nei propri confronti. La fiducia accordata alle sue idee e azioni, l’annientamento dello spirito critico e l’assuefazione a processi e messaggi propagandistici, rende il leader, agli occhi del gruppo, come il potere massimo, incontrastato e oggettivamente in grado di gestire situazioni e strumenti utili agli utenti. Il livello massimo di autorità riconosciuto al leader, permette spesso, nel reclutamento reale, di dargli pieni poteri di dominazione al punto da accettare decisioni e direttive che rientrano nella più intima e riservata sfera sessuale. Una dinamica nota all’interno delle sette, dove l’attivazione emotiva è totalmente controllata dal guru attraverso decisioni arbitrarie o strategiche: l’accettazione di accoppiamenti, favori sessuali, scambi o “sacrifici” rappresentano una conferma della presa sull’individuo. Nel mondo virtuale, è più facile che l’attivazione emotiva avvenga attraverso i sentimenti di paura, vergogna o senso di colpa: il giovane all’interno del gruppo subisce “processi” riferiti ad avvenimenti personali passati, aneddoti raccontati nel gruppo, che diventano una leva per fortificare la percezione che, al di fuori del gruppo, da soli si è incapaci di gestire situazioni all’apparenza complesse. Nel processo di radicalizzazione, alterare la visione del passato è essenziale quanto fuorviare sul presente.
Le tecniche di manipolazione psicologica applicate sui giovani all’interno dei gruppi di reclutamento estremisti, non si esauriscono nel mondo virtuale, ma trovano un proseguo naturale nel mondo reale, che ne riflette l’impostazione. I gruppi, anche ridotti, che si spostano dal virtuale al reale, continuano ad essere gestiti attraverso un ferreo controllo psicologico con il supporto di tecniche mirate alla dissociazione mentale. Nel radicalismo islamico, non è raro a un certo punto l’uso di droghe per facilitare comportamenti disinibiti che invece, lucidamente, creerebbero nei giovani un naturale senso di opposizione basato anche sulle norme educative e religiose, come l’uso di droghe o alcolici.
Il percorso di de-radicalizzazione è lungo, complesso, soprattutto nei casi in cui il giovane coinvolto non sceglie di sua spontanea volontà l’allontanamento dal gruppo e dall’ambiente estremista ma vi è costretto. In questi casi è molto arduo riuscire a penetrare gli effetti della manipolazione psicologica che ha portato alla radicalizzazione profonda. Il limite, in questi frangenti, si riscontra proprio nella natura degli interventi, che sono reattivi piuttosto che preventivi.
Oggi è molto difficile riuscire a inquadrare tutti i potenziali luoghi e strumenti che rappresentano un rischio, in termini di reclutamento e radicalizzazione, per un giovane che si muove nel virtuale, senza una consapevolezza solida dei pericoli a cui va incontro.
Si tratta di una lotta culturale oltre che di sicurezza: l’educazione ai rischi della propaganda e ai suoi strumenti, l’educazione alle manifestazioni di manipolazione psicologica nei gruppi online, l’educazione al riconoscimento delle eco chambers e ai rischi dell’impatto dell’effetto rabbit hole, questo è il tipo di educazione basica su cui le istituzioni dovrebbero investire e partire in maniera più ampia e focalizzata, per restare al passo con le nuove tecnologie e le nuove strategie di reclutamento di gruppi che sembrano essere in grado di sfruttare immediatamente ogni potenziale arma per reclutare, indottrinare, radicalizzare.
Dovrebbe esserci una condivisione più ampia delle ricerche interdisciplinari e una diffusione più incisiva delle conclusioni, dei casi studio, dei sistemi di valutazione che possano generare modelli di riconoscimento applicabili a strumenti e strutture finalizzati a un riconoscimento precoce della minaccia.
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Emanuela Corda è responsabile dell’Osservatorio sulla Disinformazione, sull’Estremismo e sul Radicalismo Online e direttrice editoriale del Blog e della Newsletter “Minacce Strategiche e Sicurezza Democratica” dell’Istituto Germani. Precedentemente FormezPA e Senato della Repubblica.
Fonti e risorse per approfondire:
Eseguite misure cautelari a carico di due internauti minorenni transitati all’interno del network estremista “Sturmjager Division” dove venivano diffusi contenuti antisemiti, xenofobi e apologetici del nazismo, Polizia di Stato, Marzo 03, 2024
Potenza: arrestato minorenne per eversione e terrorismo internazionale, Polizia di Stato, Ottobre 10, 2024
La vera emergenza è l’estremismo tra i minorenni, ormai dilagante, in Panorama, Aprile 10, 2025
Aggressioni a sfondo razziale con simboli nazifascisti. Indagati anche minorenni a Milano, in RaiNews, Ottobre 17, 2024
Nicola Majorana, Riccardo Perisi, Carlo Collarino, Isabella Corradini, La psicologia della Humint nel settore controterrorismo e controeversione, Tavola rotonda, lezione del corso online di alta formazione Psicologia delle Spie e dello Spionaggio, Istituto Gino Germani, 2025
Isabel Pérez Pérez, Javier Ruipérez Canales, Vasileios Theofilopoulos, Fabian Wichmann, How and why minors and youth are attracted by extremist ideologies? EU Knowledge Hub on Prevention of Radicalisation, Meeting of Thematic Panel 1: Ideologies & Conspiracy Narratives, 27-28 March 2025 Brussels
Qi, Y. Propaganda in focus: decoding the media strategy of ISIS. Humanit Soc Sci Commun 11, 1123 (2024)
Ashley A. Mattheis, Ashton Kingdon, Moderating manipulation: Demystifying extremist tactics for gaming the (regulatory) system, in P&I – Policy & Internet, Volume15, Issue4, Special Issue:The (International) Politics of Content Takedowns: Theory, Practice, Ethics, December 2023, pages 478-497
J.M. Berger, Extremism, The MIT Press, 2018
Hidden Danger – New Study Reveals How Video Games Are Being Used by Foreign Actors and Extremists, in SciTechDaily.com – October 26, 2023
https://en.wikipedia.org/wiki/Special_Force_(2003_video_game)
Congressman Ritchie Torres Urges Steam to Remove October 7 Massacre Video Game, Dec 06, 2024
Cárteles mexicanos se infiltran en videojuegos para reclutar miembros, in El Financiero, Feb 26, 2025