Cos’è la Madman Theory e perché se ne parla in relazione a Donald Trump

di Sofia Mauri – Il 17 dicembre 2024, un editoriale di Andreas Kluth su Bloomberg “Trump Plays Chicken With the Madman Theory” riportava alla luce una teoria nota ma pressoché dimenticata nelle relazioni internazionali e nei giochi di potere globale: la Madman Theory, la teoria secondo cui l’imprevedibilità di un leader  

diventa strumento strategico consapevole di influenza, manipolazione e coercizione nelle politiche interne ed estere. Il 24 gennaio 2025, Roseanne McManus esplorava sulle pagine di Foreign Policy i limiti di questa teoria: “The Limits of The Madman Theory”, così come l’editoriale di Bloomberg, analizza l’operato di Donald Trump alla luce di questa tesi, indagandone i limiti e l’efficacia politica e cercando di capire quanto della nota imprevedibilità del presidente americano, sia una reale strategia calcolata o sia l’effetto di un approccio istintivo del leader per confrontarsi con gli avversari.

Poco discussa in tempi recenti ma ciclicamente ricomparsa nelle analisi di politologi e analisti geopolitici, la “Teoria del Pazzo” si adatta bene alla personalità e ai comportamenti di figure di peso contemporanee quali Vladimir Putin e Kim Jong-Un, contro cui lo stesso Donald Trump gioca pari moneta; tutti sembrano rientrare perfettamente nei canoni discussi dalla Madman Theory con i loro comportamenti irrazionali, le rotture di schemi simulate, le minacce estemporanee seguite da fatti che le smentiscono, il mascheramento delle reale intenzioni dietro comportamenti non convenzionali, dichiarazioni assurde, provocazioni incendiarie.
Soprattutto il lavoro di Roseanne McManus è utile per approfondire l’ipotesi di una applicazione della strategia della Madman Theory ai giorni nostri e prevederne i possibili scenari futuri sulla base dei precedenti storici.
Di che cosa tratta la Madman Theory lo riassume di seguito
Sofia Mauri, studentessa e corsista della Scuola di Intelligence e Analisi Strategica dell’istituto Germani, segnalando i punti chiave, i limiti e i benefici della strategia in oggetto e suggerendo le fonti primarie da lei consultate per andare a fondo del discorso.

La politica internazionale è spesso un gioco complesso fatto di strategie, minacce e compromessi. Quando si pensa all’arte delle relazioni nella politica internazionale, si immaginano leader ligi alle convenzioni, razionali, impegnati a calcolare ogni mossa con precisione chirurgica. Eppure, nel pieno della Guerra Fredda, un Presidente degli Stati Uniti ha teorizzato una strada completamente diversa: mandare nel panico gli avversari fingendosi irrazionale, disfunzionale, uscendo dai canoni della “normalità” che ci si aspetta dai leader mondiali. Richard Nixon stava affinando l’essenza di quella che definì Madman Theory, ovvero la “teoria del pazzo”, una strategia che il presidente americano utilizzò coscientemente per generare pressione su avversari quali il Vietnam del Nord e l’Unione Sovietica. Questo approccio, della Madman Theory, trova le sue radici nel pensiero di Niccolò Machiavelli e si è riproposta fino a Donald Trump. Ma questa strategia è davvero fatta di un caos calcolato o si tratta del riconoscimento di un comportamento istintivo non troppo raro nei leader? Per rispondere, si potrebbe partire dall’inizio, ovvero dal celebre trattato Il Principe, in cui Niccolò Machiavelli sosteneva già nel 1500 che un leader deve essere tanto temuto quanto rispettato (“se è meglio essere amato che temuto, rispondesi che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma perché egli è difficile accozzarli insieme, è molto più sicuro essere temuto”) ma sopratutto sottolinea nel suo pensiero l’importanza della manipolazione delle menti degli avversari.

L’idea alla base della Madman Theory è semplice quanto astratta: se un leader riesce a convincere i propri nemici di essere imprevedibile, disperato o persino fuori controllo, questi ultimi potrebbero essere più propensi a concedere vantaggi per evitare il peggio. Questo approccio, però, solleva interrogativi profondi: fino a che punto si può spingere l’ambiguità senza perdere di credibilità? Quanto è efficace spaventare il mondo per ottenere ciò che si vuole? E’ opportuna un’analisi delle origini, dei successi e dei fallimenti della Madman Theory per provare a riflettere sulla sua validità nel mondo contemporaneo.

ORIGINI STORICHE DELLA MADMAN THEORY

La Madman Theory prende forma ufficialmente negli anni Sessanta, sotto la presidenza di Richard Nixon. In quel periodo, gli Stati Uniti si trovano invischiati nel sanguinoso conflitto in Vietnam, mentre l’ombra della Guerra Fredda condiziona ogni mossa in politica estera. Nixon, frustrato dall’incapacità di ottenere rapidi risultati sul fronte della guerra e convinto che entrambi i suoi suoi avversari (Vietnam e Unione Sovietica) fossero sicuri della prevedibilità americana, decise di cambiare le regole del gioco.

L’obiettivo era trasmettere ai leader nemici l’impressione che il Presidente fosse disposto a tutto, persino a osare l’impensabile, cioè utilizzare il nucleare, pur di ottenere ciò che voleva. Si inseguiva la logica secondo cui un nemico che percepisce un leader instabile e irascibile, sarà più incline a cedere alle sue richieste piuttosto che rischiare un’escalation catastrofica. Un esempio concreto di questo gioco di forza si ebbe nel 1969, quando Nixon ordinò un’allerta globale delle forze armate statunitensi. Bombardieri armati di ordigni nucleari volarono vicini ai confini sovietici, inviando un messaggio non troppo nascosto: potremmo fare qualcosa di folle.

Nella teoria del gioco, la credibilità di una minaccia è determinante per influenzare le decisioni dell’avversario. Se un leader appare disposto a rischiare tutto, pur di perseguire il suo scopo, le sue minacce diventano più convincenti.

ANALISI DEI PRO E CONTRO DELLA STRATEGIA

La Madman Theory, nella sua apparente semplicità, presenta diversi vantaggi strategici, ma allo stesso tempo implica rischi molto alti.

Uno dei principali punti di forza della Madman Theory è appunto l’imprevedibilità che essa produce nello scenario geopolitico.

Il leader che appare irrazionale, istintivo o disposto a tutto, costringe i suoi avversari a ripensare le proprie mosse: se non si può prevedere la reazione di una potenza militare, il rischio di una provocazione o di un’escalation diventa troppo alto.

Questo influisce nelle risposte del nemico, portato a moderare le proprie azioni o ad accettare negoziati più vantaggiosi per la controparte, anche a fronte di compromessi per lui negativi.

Simulare pazzia o incoerenza può consentire un ampliamento dello spazio nella manovra diplomatica; se gli avversari credono che determinati limiti non esistano, il margine per ottenere delle concessioni cresce. Nixon, ad esempio, sperava che facendo credere di poter realmente ricorrere alle atomiche, il Vietnam si sarebbe affrettato a negoziare la pace alle condizioni favorevoli per gli Stati Uniti.

L’effetto sorpresa e il timore dell’ignoto diventano concretamente strumenti di potere nella negoziazione, capaci di spostare gli equilibri senza sparare un colpo.

Di contro, c’è il rischio che la messinscena dell’irrazionalità venga fraintesa: se l’avversario non valuta correttamente il comportamento “impazzito”, la tensione può degenerare rapidamente in un vero conflitto. Quando si gioca con la paura, è facile che qualcun altro decida di rispondere per primo.

Un altro svantaggio è la perdita di credibilità a lungo termine. Se un leader viene visto troppo spesso come instabile o minaccioso senza poi concretizzare davvero le sue azioni, rischia di perdere fiducia sia tra gli avversari che tra gli alleati: questi potrebbero iniziare a dubitare della lucidità e solidità della leadership, mentre nemici potrebbero nel tempo abituarsi a questo comportamento, tendendo a marginalizzare le minacce fino a smettere di prenderle sul serio.

Anche il fattore dell’opinione pubblica interna si presenta come un elemento critico da tenere in considerazione. In democrazie come quella statunitense, l’immagine del leader politico ha un peso enorme e un Presidente che appare fuori controllo rischia di perdere il sostegno e la stima popolare, di alimentare fratture e proteste, di danneggiare la propria posizione politica.

Infine, la Madman Theory può avere effetti imprevedibili anche sul piano economico e sociale: i mercati internazionali, sempre sensibili agli eventi geopolitici, possono reagire negativamente all’instabilità generata dagli effetti dell’espressività caotica del leader, causando potenziali crisi finanziarie che possono indebolire ulteriormente il paese guidato con questa strategia.

La Madman Theory è, in sintesi, un gioco d’azzardo ad altissimo rischio: può funzionare in casi eccezionali, ma il margine di errore è estremamente ridotto.

Attualmente viviamo un eccesso di caos prodotto dalla simultanea crisi del leader “numero uno” e dei suoi sfidanti: ogni successo, ogni fallimento del singolo influirà sul destino della nazione e del mondo. Donald Trump vuole porsi come esempio di leader rivoluzionario, capace di avvicinarsi al disastro senza mai provocarlo veramente, guidando la sua nazione secondo un non mascherato individualismo, usando cioè l’approccio di un businessman piuttosto che quello dello statista o del capo della collettività.

Fin dal primo mandato, la politica estera di Trump è stata spesso accostata alla “Madman Theory”. Le sue scelte, talvolta imprevedibili o apparentemente irrazionali, sono state interpretate come finalizzate alla destabilizzazione, così come Putin ha riconoscibilmente usato molte volte l’imprevedibilità per rafforzare il potere della Russia e sfidare l’Occidente, si veda oggi la guerra in Ucraina, dove a più riprese sono state fatte minacce e promesse inconsistenti o pericolosamente provocatorie.

Kim Jong-un, altrettanto, sembra fedele a un accademico utilizzo della Madman Theory, usando la minaccia nucleare, con i suoi test o i suoi proclami, per proteggere il suo regime e ottenere vantaggi economici.

Riassumendo, tentando di valutare se il metodo funziona, si possono considerare tre obiettivi principali:

Disorientare gli avversari: costringendoli a prendere decisioni caute o a evitare il confronto diretto;

Fare da leva negoziale: portare a credere di essere pronti a tutto, anche ad azioni estreme, per spingere gli avversari a fare concessioni;

Ottenere un effetto deterrente: generare timore dell’irrazionalità può scoraggiare azioni aggressive contro un leader che viene visto come instabile.

Mentre, in termini di limiti ed effetti negativi, un approccio di questo tipo può portare a:

Perdita di credibilità: comportarsi in modo incoerente può erodere la fiducia degli alleati e la reputazione internazionale;

Escalation involontaria: la percezione di instabilità può aumentare la possibilità di reazioni sproporzionate o conflitti imprevisti;

Mancanza di controllo: simulare un comportamento folle richiede precisione, ma se la linea tra strategia e vera irrazionalità sfuma, i rischi passano dall’essere calcolati all’essere incontrollabili.

Possibile che l’instabilità generata da questo momento di caos globale, stia seguendo un preciso schema geopolitico e che la Madman Theory sia effettivamente la strategia scelta da certi leader mondiali?

A conti fatti, la Madman Theory è una strategia efficace solo in un contesto in cui viene tendenzialmente sottovalutata in termini politici, contesto in cui è in grado di generare una prima risposta istintiva e dal ridotto margine di alternative. Ma in una comparazione benefici-svantaggi, si rivela come uno strumento poco efficace e incontrollabile, il cui peso degli effetti collaterali incide in maniera sostanziale sulle conseguenze di questa scelta anche quando non riesce a raggiungere il suo scopo primario. L’allontanamento del consenso popolare, i rischi primari di una escalation associati alla sua messa in atto, la mancanza di un controllo preciso, la reputazione di un capo di stato che si riflette su una nazione, sono i primi e immediati fattori negativi che, con il senno di poi, possiamo facilmente attribuire a questa strategia. Se Trump stia effettivamente giocando e quanto possa inoltrarsi con successo o cadere nelle sabbie mobili delle conseguenze della madman Theory, si potrà capire solo in un secondo momento.

* Sofia Mauri è studentessa al terzo anno del corso di laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e coltiva un interesse specifico per le dinamiche geopolitiche. Sta proseguendo nel progetto accademico della laurea magistrale incentrata sulla negoziazione internazionale, i conflitti armati e la difesa militare, in preparazione al concorso per il servizio diplomatico italiano *

Riferimenti bibliografici e note per approfondire

Andreas Kluth, Trump Plays Chicken With the Madman Theory, in Bloomberg, 17 dicembre 2024

Roseanne McManus, The Limits of the Madman Theory. How Trump’s Unpredictability Could Hurt His Foreign Policy, in Foreign Affairs, 24 gennaio 2025

La Madman Theory: da Machiavelli a Trump?, in Ekonomia.it, 3 gennaio 2025

Roseanne W. McManus, Revisiting the Madman Theory: Evaluating the Impact of Different Forms of Perceived Madness in Coercive Bargaining, 13 settembre 2019, Security Studies, Vol 29, Issue 5, pp 976-1009

Joshua A. Schwartz, Madman or Mad Genius? The International Benefits and Domestic Costs of the Madman Strategy, Security Studies, Vol 32, Issue 2, 4 maggio 2023, pp 271 – 305

Niccolò Machiavelli, Il Principe, edizione ET Classici, 2014

Boutros Boutros-Ghali, Un’agenda per la pace: diplomazia preventiva, pacificazione, mantenimento della pace, Nazioni Unite, New York 1992.

Howard Michael, L’invenzione della pace. Guerre e relazioni internazionali, Il Mulino, Bologna 2002.

Pierre Hazan, Emmanuelle Hazan, Negoziare col diavolo. La verità sulla mediazione internazionale nei conflitti armati, Il Pellegrino, Roma 2025.

Gedi, Rivista italiana di geopolitica Limes, l’Ordine del caos,Volume 1 mensile 2025, p.39-121 parte I.

Henry Kissenger, Ordine Mondiale, Mondadori, 14 aprile 2015.

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