Il 7 maggio 2025 si è svolto il seminario web “L’intelligence contro la strategia del caos: guerra ibrida e sicurezza nazionale”, un nuovo appuntamento organizzato dall’Istituto Germani per rimarcare il concetto di guerra ibrida e analizzarne le nuove forme e sfumature:
per la sua natura dinamica espressa in un contesto ampio e difficilmente controllabile, questo genere di conflitto necessita di una costante osservazione. In particolare, nei lavori del seminario, ci si è concentrati sulle azioni aggressive e destabilizzanti della Russia in Europa, sempre meno ambigue e più evidenti, con i suoi atti di sabotaggio e violenza, agli occhi di una opinione pubblica inesperta. La guerra ibrida è una forma di conflitto polimorfa e multidimensionale, lanciata contro democrazie che si presentano come vulnerabili nella loro espressione di trasparenza e libertà di parola, democrazie dove l’espressione è un diritto garantito e protetto, a differenza dei regimi autocratici che fanno uso della guerra cognitiva nella loro politica estera, mentre utilizzano, nella loro politica interna, censura e nebbia comunicativa. Ci si è chiesti quanto oggi l’Italia sia consapevole della guerra ibrida e delle sue forme attive, e la risposta non è stata positiva.
Il webinar ha sottolineato ancora una volta la necessità di una maggiore consapevolezza e resilienza a livello non solo nazionale ma anche europeo, gettando le basi per una apertura e una chiamata a un migliore coordinamento tra le istituzioni di sicurezza e ponendo enfasi sull’essenziale educazione alla sicurezza e al pensiero critico, evidentemente abbastanza scarni ancora oggi, che dovrebbero maturare primariamente negli ambiti scolastici per contrastare in primis la disinformazione, minaccia onnipresente nella vita del singolo cittadino.
Antonio Fattori, dirigente militare ed esperto di sicurezza, identifica la HUMINT come “essenziale per comprendere a priori quali sono le narrative che verranno poi emesse sull’opinione pubblica e per comprendere le procedure e gli attori della guerra cognitiva” giocata attraverso la disinformazione, sul sentimento e sulla conoscenza popolare. In termini di sicurezza, la minaccia interna, l’insider threat, rappresenta oggi una debolezza cruciale, strettamente legata alla mancanza di cultura della difesa e del riconoscimento della criticità in oggetto, nonostante gli sforzi di strutture istituzionali nel coordinare le informazioni vitali, come il CASA (Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo) e il DIS. In questo ambito però, Fattori porta a notare quanto ancora l’atto di legiferare sulla sicurezza nazionale sia legato alla politica, ma riconosce un ottimo segnale relativo a una nuova sensibilità dell’intelligence italiana, nel nuovo bando di reclutamento 2025, che si concentra su capacità utili al contrasto delle minacce ibride attraverso l’incremento delle diversità di skill e professionalità richieste.
Il Direttore dell’Istituto Germani, Luigi Sergio Germani, ha confermato che vi è un aspetto dell’attività ibrida russa in Europa che esula dalla sfera cognitiva e cibernetica ma rientra in un nuovo livello di violenza, che ha visto di recente sabotaggi, incendi dolosi, assassinii di dissidenti e defezionisti in ogni parte d’Europa, così come i noti attentati alle infrastrutture occidentali, dai cavi sottomarini alle reti ferroviarie o centri commerciali. Il Direttore Germani indica come spesso gli esecutori di queste azioni ibride violente siano spesso criminali comuni reclutati dall’intelligence militare russa persino attraverso i social media, per combattere una guerra ibrida che mira a destabilizzare un paese target sfruttandone le vulnerabilità attraverso un “uso sinergico di diverse metodologie sovversive”. L’aspetto più violento nello scenario delle attività ibride, ha spesso lo scopo di “preparare il terreno per un’invasione o comunque per un intervento militare vero e proprio”, poiché i sabotaggi e gli attacchi alle infrastrutture hanno l’obiettivo primario di paralizzare il paese.
Secondo Germani, in Italia esiste ancora, marcatamente, un “diffuso negazionismo sulla guerra ibrida” sia nella classe politica che tra intellettuali e giornalisti. Una risposta efficace alla minaccia richiede l’introduzione di “significative innovazioni nel sistema di sicurezza nazionale e nei servizi di intelligence”, suggerendo l’istituzione di un Consiglio di Sicurezza Nazionale per il coordinamento e citando il caso Artem Uss come un esempio concreto dell’effetto di mancanza di tale coordinamento. Poiché la guerra ibrida attacca la società stessa, la strategia di contrasto deve necessariamente coinvolgere tutti i settori della società. Anche per Germani, la guerra cognitiva è una sfida alla democrazia ed è fondamentale che alle nuove generazioni venga insegnato il valore della democrazia liberale, proprio a partire dalle scuole.
Gabriele Carrer, giornalista, considera uno scenario più drastico rispetto a quello prospettato dagli altri relatori: secondo lui, la minaccia ibrida in Italia oggi è “”ignota o sconosciuta, o forse peggio ancora, ignorata”, mentre considera l’asimmetria tra i modelli democratici e quelli autocratici, come la chiave di lettura per comprendere le minacce ibride. Cita su questo passaggio Astolphe de Custine, nobile francese, autore e viaggiatore di fine Ottocento, che riconosceva già nei giochi di potere dell’epoca l’asimmetria tra i diplomatici russi e quelli occidentali: “I giornali li informavano su tutti gli avvenimenti e le intenzioni di casa nostra”, scriveva, “mentre la loro politica bizantina, lavorando nell’ombra, ci nasconde accuratamente ciò che si pensa, ciò che si fa e ciò che si teme a casa loro”. Analizzando la situazione nazionale, specifica come l’Italia sia oggi l’ultimo paese del G7 senza una strategia o un consiglio di sicurezza nazionale, confermando il bisogno auspicato dal Direttore Germani di averne uno anche noi. Un buon avvio per la gestione della minaccia (poiché sarebbe troppo presto ed eccessivo parlare di risoluzione), è quello di un “approccio Whole-of-Society”, un pensiero che si allinea quindi al pensiero comune emerso dal webinar, di una “resilienza delle democrazie”.
La dottoressa Marta Federica Ottaviani, giornalista e autrice del libro “Brigate Russe: la guerra occulta del Cremlino contro l’Occidente” , ricorda gli attacchi informatici in Estonia nel 2007 come “stress test” e gli attacchi informatici negli Stati Uniti nel 2021 (agli ospedali, alle pipeline o a Solar Wind) come l’esempio di una minaccia estesa: per la dottoressa Ottaviani, la minaccia va affrontata “rispettando i nostri valori, ma restando implacabili”, soprattutto a fronte della subdola natura di questa guerra e dei suoi protagonisti. Definisce l’Italia come un caso di studio, perché “qui la propaganda russa è affondata come un coltello nel burro” e ha criticato la presenza frequente in TV di “propagandisti russi presentati come giornalisti”, evidenziando una già nota e più volte insufficientemente contrastata infiltrazione da parte della disinformazione russa nel nostro paese. In gioco c’è la nostra democrazia.
L’Ammiraglio Cesare Fanton aggiunge un allarme mirato, quello sull’intelligenza artificiale, che è diventata un “force multiplier di chi ci attacca”, all’interno di un campo di battaglia che si è ormai grandemente esteso, cancellando confini che fino a ieri restavano visibili e che oggi invece coinvolge l’intera società. La strumentalizzazione del Cognitive Warfare è soprattutto protagonista di una “zona grigia” nel campo delle relazioni internazionali e va preso come caso studio il dossier Mitrokhin, esempio di un “radicato, ben costruito e mai scardinato sistema di attacco alla nostra opinione pubblica”. L’obiettivo principale è la distorsione della percezione della minaccia, creando paure che interferiscono nei processi decisionali. Emerge, dalla sua analisi, una delicata criticità, quella del sistema sanitario come fattore di “grande vulnerabilità”, si pensi alla missione russa di assistenza sanitaria durante la pandemia, guidata da personale di punta in carica nei programmi di guerra batteriologica russa, ma anche al dibattito nazionale VAX-NO VAX, strettamente collegabile al cognitive warfare. Per l’Ammiraglio Fanton, la preoccupazione di una aggressione di tipo CBRN non va sottovalutata e ha concluso affermando che gli impatti di un attacco di questa natura “sulla tenuta democratica del paese target, sarebbero devastanti” e che “la resilienza nazionale è il vero obiettivo”, fondamentale, alla luce soprattutto di come l’Europa si sia dispersa durante il periodo della pandemia, prediligendo percorsi individuali a quelli collettivi e coesi.
François Géré, presidente dell’Istituto Francese di Analisi Strategica di Parigi, ospite internazionale, invita a riflettere su una nuova terminologia che possa indirizzare e meglio identificare il concetto di guerra ibrida: il dottor Géré, che si occupa del tema da quasi venti anni, suggerisce il termine “guerra ombra” o “ghost war” rispetto a “guerra ibrida” e la definisce come un ibrido di mezzi regolari e irregolari di diversa natura, materiali, immateriali, spirituali e fisici. La ghost war va riconosciuta come un conflitto geo-trasversale, cioè che può svolgersi ovunque, creando uno scetticismo diffuso verso la realtà e i fatti, rendendo difficile fidarsi delle fonti di informazione o dei politici. La geo-trasversalità della guerra ombra è multidimensionale: si svolge sulla terra, nel mare, nei fondali e nello spazio, nel mondo cibernetico, mischiando forme tradizionali di aggressione a concetti inediti di offesa, dall’attacco ai cavi sottomarini per minare il potere delle alleanze come la NATO, al sabotaggio informativo, una forma di spionaggio in cui le informazioni vengono rubate in maniera occulta per anni prima che la vittima diventi consapevole.
Lo scetticismo che la guerra ombra semina a livello anche globale, verso politici e media, è una vulnerabilità potente sfruttata da governi avversari che hanno intuito quanto la democrazia possa essere sensibile su questo punto. Il dottor Géré è perfettamente d’accordo con i colleghi relatori: la risposta alla minaccia ibrida deve essere necessariamente collettiva, deve dipendere dal processo di cooperazione e dalla volontà comune dei paesi europei di comunicare, informarsi, collaborare. Non solo per fronteggiare la minaccia nelle sue forme più immediate, ma anche per creare insieme una diplomazia e una politica estera comuni che restituiscano all’Europa una identità chiara e inamovibile, soprattutto inattaccabile, che diventi culla e protezione di valori fondamentali quali libertà e democrazia. Per fare ciò, sono vitali un cambiamento e un adattamento della società e dei valori, della democrazia tutta, alla realtà contemporanea, in un processo di rinascita che renda le democrazie occidentali solide di fronte alla pressione di leader quali Trump, Putin o Xi Jinping.
Parlare della minaccia ibrida al nostro Paese è una necessità che si fa pressante e che non deve essere trascurata: l’Istituto Germani, con i suoi collaboratori, i suoi ospiti, il network di operatori, analisti, accademici, figure specializzate e fortemente addentro ai comparti sensibili della società, auspica da anni e chiede fermamente che venga costituita una prima linea difensiva consapevole, solida e in grado di rispondere con un approccio fluido e dinamico, ma soprattutto proattivo, organizzandosi sulla strategia della cultura di una sicurezza diffusa, costruita e consolidata sull’educazione digitale ad ogni livello della società, sullo sviluppo del pensiero critico, su un migliore coordinamento istituzionale e su una intelligence rinnovata e innovativa. La resilienza nazionale è, di fatto, una forma di difesa concretamente fattibile, ma è necessario che i decisori politici e la società stessa prendano atto che, per cominciare, siamo già in ritardo.